DISCORSO DI FINE ANNO, 1955

Non solamente per una cara consuetudine, ma anche per una sentita esigenza dell'animo mio rivolgo a voi tutti, mentre sta per iniziare il nuovo anno, i miei più fervidi voti augurali.

E' questa un'ora che più di ogni altra ci richiama al trascorrere del tempo e ci induce a bandire risentimenti e polemiche, a guardare più obiettivamente al passato ed a formulare i migliori proponimenti per l'avvenire.

In questa atmosfera, il nostro saluto all'anno che sta per finire e che conclude il primo decennio dell'italia democratica, si corona di soddisfazione per l'opera che il paese nostro - nella collettività e nei singoli - ha continuato a perseguire per il proprio civile e sociale progresso.

Basti ricordare tutto ciò che da parte dei poteri responsabili e di quanti hanno consapevolezza dei propri doveri, si è fatto, durante i dieci anni per ricostruire l'apparato tecnico e produttivo disperso o distrutto dalla guerra, per andare maggiormente incontro alle più avvertite e legittime istanze sociali, specie nel mezzogiorno dove le masse popolari possono ormai intravedere con fiducia la loro redenzione da inferiorità secolari.

Basti citare il processo di perfezionamento delle basilari strutture dell'ordinamento costituzionale e la costante estensione dei nostri rapporti con gli altri paesi, per contribuire alla tormentata conquista di una universale vera solidarietà nell'avvenire.

La nazione intera potrà quindi a buon diritto celebrare nel prossimo anno il primo decennio del suo nuovo cammino verso le maggiori fortune che essa merita. E certo sarà legittima fierezza per tutti ricordare a sè ed agli altri, in italia e fuori, i sacrifici, la tenacia, i risultati. Che se, ai motivi di compiacimento, si contrappongono inevitabili motivi di rammarico per quanto non ci è stato dato ancora di realizzare, deve scaturirne uno stimolo prezioso a fare di più e meglio nell'anno che ci attende.

Fare di più e meglio, perchè tutti nella sicurezza e nella pace, ne traggano beneficio, in particolare coloro che immeritamente vivono in sofferenze ed angustie: ad essi vada il pensiero fraterno di ogni cittadino; ad essi sia riservato il primo posto in questo scambio di voti augurali che sono impegno di opere concrete per una maggiore giustizia.

E sotto questi auspici muoviamo verso il nuovo anno, fidenti, come sempre, nell'aiuto di dio e nelle virtù native del nostro popolo generoso.

Discorso di fine anno, 1956

Italiani

L'anno che sta per chiudersi e che parve al suo inizio segnare un confortante miglioramento nella situazione internazionale ha avuto, a metà del suo corso, una svolta che si è poi palesata densa di incognite e di pericoli.

Il fatto che nel medio oriente le nazioni unite abbiano ottenuto che le armi fossero deposte e l'una e l'al tra parte in lotta rimettano il regolamento dell'aspra divergenza all'autorità dell'organizzazione internazionale, inseriva indubbiamente un elemento di speranza per il futuro. Sembravano infatti prender forma i lineamenti di una coscienza e di un costume nuovi che, ponendosi a base dei rapporti fra gli stati e fra i popoli, ripudiano il ricorso alla violenza e si affidano alla legge morale ed alla forza del diritto.

Ma la speranza che così si annunziava è stata scossa a fondo dalla drammatica vicenda ungherese. Un popolo che null'altro chiede se non la sacra libertà di disporre del proprio destino, dopo la esperienza di una dittatura crollata sotto il peso di confessati errori, non solo è stato sopraffatto dalla spietata reazione di armi straniere, ma si è visto negare finanche il diritto di appellarsi al giudizio di tanta parte del mondo, espresso dalle nazioni unite.

Il nostro paese deve purtroppo prendere atto con coraggioso realismo, che ancora una volta il diritto non ha prevalso sulla forza. La solidarietà e la collaborazione, presupposti della pace nei rapporti fra i popoli, non sono che vane ed insidiose espressioni senza il pieno reciproco riconoscimento dei diritti di ciascuno e la rinunzia all'uso della violenza.

Quanti hanno il peso e la coscienza delle proprie responsabilità debbono perciò, nelle presenti condizioni, tendere a rafforzare la solidarietà dei popoli liberi per la loro difesa; ed insieme contribuire, con opportune iniziative, a che l'europa in unità di intenti possa costituire una forza di equilibrio e di pace.

L'Europa possiede i titoli per questa missione, in virtù. Della sua millenaria civiltà cristiana, poichè da questa discendono come principio e come norma di azione, anche nella vita internazionale, lo spirito di giustizia, il rispetto alla dignità della persona umana, la generosa e saggia comprensione per le aspirazioni dei popoli verso l'indipendenza e la libertà.

Alla luce di questi principi, che hanno valore universale, vorrà ogni cittadino considerare, anche nel nostro paese, i suoi stessi problemi, sicché non vi sia alcuno che nello sviluppo della propria personalità faccia scarso conto dei diritti e delle esigenze altrui. Ciò del resto è nella tradizione dell'intima umanità peculiare al nostro popolo, la quale, unitamente alla tenacia e capacità di lavoro, più gli guadagna la simpatia che io ho avuto la gioia di avvertire attraverso il calore cordiale delle manifestazioni resemi nel corso delle mie visite all'estero.

La nostra situazione interna offre fondati motivi ad un ragionevole ottimismo, perché se si deve riconoscere che è tuttora ingente la mole dei problemi che attendono soluzione, non vi è dubbio che l' importanza e le dimensioni delle: opere compiute siano tali da renderci paghi del cammino percorso e da giustificare la fiducia nell' avvenire. Ima va ripetuto che noi approderemo a risultati sempre più'. Confortanti se ci soccorreranno lo stesso spiri to di iniziativa, la medesima volontà. Di lavoro e di collaborazione che ci hanno sorretto. Finora, e se il senso delle civiche responsabilità saprà evitare deviazioni pregiudizievoli per la libertà e sicurezza delle nostre istituzioni democratiche, e danni o ritardi nel progresso della nostra attività produttiva.

Italiani,

Ci spronino queste riflessioni a dare, ciascuno per la propria parte, il più' volenteroso concorso alla costruzione della pace e all'opera di elevazione morale, sociale ed economica, alla quale la nazione è intenta; cosicché noi possiamo muovere in serenità e concordia verso l'anno che inizia, nel proposito comune di subordinare ogni nostra attività' alla suprema esigenza di assicurare la mutua fiducia e la pace all'esterno, e un'esistenza libera e dignitosa a tutti i figli della nostra Italia.

Discorso di fine anno, 1957

L'anno 1957 è stato denso di vicende e di eventi, tra cui alcune, forse basilari, nel cammino dell'umanità. E si chiude per la nostra Italia in un ritmo di lavoro che, al consuntivo di questi giorni, si palesa tale da confortare non soltanto per i risultati raggiunti ma anche per l'apporto che ne è venuto alla comune fede nelle nostre possibilità di domani.

Noi possiamo perciò guardare, con rinnovata fiducia, all'anno che sta per avere inizio; con fiducia, ma più ancora con la volontà decisa di adoperarci tutti, ognuno per la sua parte, per l'avviamento a soluzione dei problemi che ancora si prospettano alle esigenze del popolo e alla sollecitudine dei governanti.

Sono problemi urgenti e imperiosi: da quelli che mirano ad assicurare i beni essenziali alla vita e alla dignità di tutti, a quelli relativi al miglioramento dei rapporti internazionali per una pace giusta e sicura nella libertà; dal perfezionamento delle strutture in cui lo Stato si articola, al rafforzamento delle sue libere istituzioni, nello spirito della Costituzione repubblicana nella quale proprio oggi si celebra il decimo anniversario.

Ed io voglio richiamarvi a questo anniversario, poiché esso ci riporta ad un evento, che senza far ricorso alla retorica, merita più di ogni altro, delle nostre recenti vicende, di essere definito storico. Dieci anni orsono infatti il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, promulgava la prima Carta Statutaria che il popolo italiano si sia mai data nell'esercizio pieno e integrale della propria unitaria sovranità.

Data storica, quindi, quella del 27 dicembre 1947, e degna di essere ricordata da tutti gli italiani, senza distinzione di parte, poiché un tale avvenimento suole indicare nella vita dei popoli una delle più fasi più caratteristiche di sviluppo e di progresso civile. Quella in cui una società nazionale con tradizioni, lingua e interessi comuni, raggiunge la piena coscienza di sé e proclama la propria maturità ad un responsabile autogoverno.

Vorrei sottolineare come in ciò appunto si ravvisi l'aspetto più significativo della Costituzione repubblicana, aspetto che va posto in risalto al di fuori e al di là di ogni bilancio più o meno positivo che voglia giudicarsi, o di atti o anche di omissioni; aspetto nel quale tutti i cittadini possono individuare una piattaforma ideale di comune intesa e di concorde volontà per l'instaurazione di una democrazia sempre più giusta, salda ed efficiente.

L'Italia era appena uscita dalle tragiche vicende della guerra che l'avevano divisa in una dolorosa lotta civile, ma i Costituenti trassero dal retaggio della Resistenza quanto di concordia era necessario per riuscire ad elaborare un documento di sagge e valide norme giuridiche, intorno alle quali durante i dieci anni trascorsi, si è sviluppata e conclusa la rinascita morale e materiale dello Stato italiano.

Il metro per misurare la bontà di una Carta Costituzionale e la sua idoneità a fungere da pilastro di una democrazia ordinata e consapevole, non è tanto quello degli organi in cui l'azione statale va strutturandosi, bensì quello della capacità delle norme a consentire a qualsiasi cittadino, senza distinzione di religione e di opinione politica, di sesso e di condizione sociale, la libera manifestazione della propria personalità, con il solo invalicabile limite del rispetto della personalità altrui.

In pari tempo il cittadino si rende per tale via non già passivo spettatore, ma attivo e responsabile protagonista della vita sociale, politica ed amministrativa in cui si riassume la naturale dinamica dello Stato moderno, dalla cosciente assunzione di responsabilità nella sfera delle autonomie locali fino alle massime cariche pubbliche, al vertice cioè di una gerarchia non rigida e per di più fondata sul principio delle responsabilità crescenti sul piano morale e su quello giuridico.

Le non infrequenti polemiche sulla funzionalità e sulle attribuzioni degli Organi dello Stato, a parte l'indubbio e certamente positivo segno di vitalità che ogni discussione esprime, non debbono far dimenticare che la tematica fondamentale di ogni democrazia si pone come una esigenza più di costume che di istituzioni.

Le istituzioni possono modificarsi nel tempo, adattarsi elasticamente alle sempre rinnovate esigenze di una società in sviluppo, possono essere create, riformate o soppresse in sede normativa, ma a nulla valgono le migliori istituzioni in un Paese nel quale i cittadini non sentano il problema del costume come una esigenza primaria fra tutte, come una componente essenziale della libertà di cui il costume è impulso e limite nel tempo stesso.

Senso del dovere e del limite nell'assunzione delle proprie responsabilità, sincera obiettività nelle discussioni, leale chiarezza di posizioni stanno alle basi di un costume democratico la cui formazione è condizionata soltanto dalla possibilità per il cittadino di adire liberamente alle pubbliche funzioni, cosicché egli abbia modo di sviluppare le proprie capacità in una gamma quanto più possibile estesa di attività amministrative e politiche.

La crescente tendenza delle comunità nazionali ad articolarsi in nuove strutture di vita associata, la prevalenza che alcuni concetti costituzionalmente postulati, come quelli di funzione sociale o di utilità sociale, manifestano nei confronti dell'interesse individuale, sono il chiaro sintomo che un rivolgimento di valori morali e giuridici è in corso. Esso attrae la sempre più attenta considerazione di studiosi e di uomini politici in tutto ilo mondo e, sommo fra i nostri, Vittorio Emanuele Orlando lo prospettò in una celebre prolusione all'università di Roma.

Il problema dell'inserimento di questi nuovi valori nell'antico schema dello stato di diritto è il problema di oggi. Problema che noi, e coloro che verranno dopo di noi, sono chiamati ad avviare a soluzione se non a risolvere compiutamente.

Lo stato di diritto, cioè una organizzazione giuridica che ponendo a suo fondamento la libertà dell'uomo e del cittadino, la promuova e la difenda attraverso una serie di validi controlli, è la sola compiuta espressione della democrazia. Ma lo stato sociale, che è già una realtà ben presente e più ancora lo sarà nel futuro, sembra talora configurarsi in posizione di contrasto con le strutture tradizionali o per lo meno non perfettamente conformi con queste. Dalla capacità di ognuno, privato cittadino o investito di pubbliche responsabilità a contribuire a questa indispensabile armonizzazione, dipende l'avvenire della nostra società nazionale, avvenire che mai come oggi è legato alla instaurazione di un consapevole costume democratico.

La Costituzione della Repubblica pone dei presupposti e delle premesse. Attuarne i principi, tradurre le norme in regole di coscienza e di condotta anziché di conformistico ossequio, è il compito che sta dinanzi a tutti noi; compito che in un giorno come questo io sento di dover ricordare a tutti.

Se nell'anno che sta per sorgere saranno realizzati, come è da auspicare, ulteriori passi su questa via, gli italiani avranno ancora una volta bene meritato del loro civismo ed i voti augurali che io loro rivolgo, avranno trovato il loro migliore adempimento.